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per le scuole

IL PROGETTO DIS-AGIO

Il progetto “Dis-agio” intende tornare a interrogare, e a rendere operativo, il rapporto tra la psicoanalisi e la scuola, nell’incontro con l’adolescente e le sue difficoltà nel contesto contemporaneo. Si vuole così favorire una riflessione complessiva sullo statuto contemporaneo dell’adolescenza e consentire una sperimentazione pratica che possa arrivare a orientare eticamente gli interventi clinici – in senso lato – e sostenere le coordinate simboliche del contesto formativo della scuola: dall’insegnante, al personale scolastico, allo psicologo, ma non solo, anche l’educatore, l’insegnante di sostegno e così via. Dare, cioè, sostegno a tutte le vecchie e nuove pratiche inclusive del lavoro scolastico.
È un dato di fatto che la presenza della psicoanalisi nei contesti scolastici risale a un periodo ormai concluso, quello grossomodo che ha caratterizzato la stagione della psicoanalisi “applicata” alle istituzioni tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Questa esperienza si è conclusa per molte ragioni che gravitano attorno alla più generale estromissione della domanda sul e del soggetto nel nostro tempo, anche dai contesti scolastici e in particolare nel leggere il disagio adolescenziale. Da questo punto di vista, l’insegnamento di Jacques Lacan ci offre delle indicazione molto precise: ripensando le fondamenta della questione del soggetto, attraverso il suo ritorno a Freud e quindi sovvertendo l’immagine che ce ne dà il senso comune, Lacan ci permette di ricostruire le coordinate di una possibile nuova alleanza tra psicoanalisi e scuola, all’insegna dell’inconscio.
L’innesto dell’insegnamento di Lacan con il campo della formazione può trovare un utile appoggio nelle riflessioni sviluppate dalla Clinica della formazione e dalla lezione di Riccardo Massa. Già verso la fine degli anni Novanta, Massa prendeva le distanze dal dibattito allora in voga che tendeva a contrapporre i sostenitori delle finalità educative, valoriali, formative in senso lato, a quelli del primato dell’informazione, dell’acquisizione di competenze, di istruzione e valutazione, riportando la pratica formativa alla sua questione centrale: il soggetto. Un soggetto, però, che va interrogato a partire dalle sue condizioni strutturali di esistenza, leggendo le dimensioni latenti, inconsce e materiali che caratterizzano il funzionamento del dispositivo scolastico.
È a partire, quindi, dall’eredità di Lacan nel mondo psicoanalitico e da quella di Massa in quello pedagogico che è possibile ripensare una clinica per la scuola contemporanea. Ripensare a un lavoro di “sospensione” del fare scuola per mettere sotto osservazione proprio i modi di  insegnare e apprendere caratteristici del nostro tempo. Per imparare a fare scuola meglio e con maggiore consapevolezza.

Il tempo che viviamo è caratterizzato da una profonda trasformazione delle coordinate simboliche con le quali siamo stati abituati a orientarci nella vita, nel lavoro e nella formazione. Le stesse strutture che un tempo organizzavano il nostro vivere in comune paiono oggi sempre più deboli nel sostenere gli orizzonti nei quali i soggetti vengono a iscrivere i propri progetti e le proprie scelte di vita. Tale trasformazione ha le proprie radici in alcuni processi che hanno segnato il nostro mondo e che forse soltanto ora sembrano palesarsi in tutta la loro portata. Questo difficile e problematico scenario ha delle ricadute particolarmente evidenti e significative sui contesti formativi ed educativi. Sul lato del corpo docente, il declino simbolico della funzione insegnante produce difficoltà e disagi che scandiscono il quotidiano della vita scolastica; sul lato degli studenti, le trasformazioni in atto rendono il contesto scolastico sempre meno capace di catturare il loro interesse e desiderio, di aiutarli a far fronte ai problemi e ai disagi che ne caratterizzano il delicato momento della vita.
Il presente progetto prende spunto da questa situazione per trattarla come occasione di lavoro con quanto di nuovo si sta producendo nei contesti formativi, adottando uno sguardo orientato alla singolarità di ciascun operatore e allievo del contesto scolastico, per arrivare a offrire strumenti e strategie d’intervento per le situazioni di impasse che la scuola incontra nel suo lavoro quotidiano. In linea con le più recenti indicazioni ministeriali e regionali, il seguente progetto intende promuovere “buone pratiche” di interazione con il campo dei bisogni educativi speciali, affiancate da un orientamento psicoanalitico innovativo e studiato appositamente per le nuove modalità di funzionamento dei contesti formativi contemporanei.

La qualità dell’esperienza scolastica per i suoi protagonisti – insegnati, studenti e famiglie – esige che ognuno sia riconosciuto per le proprie capacità e competenze mentre tutti concorrono a fare della scuola un luogo di trasmissione del sapere adeguato ai tempi in cui viviamo.
Alle soglie del Duemila la scuola italiana è cambiata. L’autonomia scolastica ha chiesto, e chiede, un nuovo protagonismo docente. Se il nostro modo di fare scuola deve diventare davvero inclusivo, non può che mettere in discussione e cambiare la forma della scuola tradizionale. Non si tratta di abbattere o rimuovere il funzionamento di quella che alle volte appare come una macchina antiquata, né dare nuovo olio al meccanismo, ma di riconsiderare il funzionamento complessivo della scuola: il suo senso e anche il suo non senso. Per fare tutto questo gli insegnati possono, e devono, essere aiutati. Occorre infatti un tempo diverso dal tempo scolastico per pensare la scuola, per vedere gli agiti e riconsiderare le azioni da fare. Per sapere come si agisce quando si fa scuola.
La competenza metodologica è il cuore del saper (fare) didattico e pedagogico. Questo spesso è custodito ma non detto nella pratica insegnante. Insegnare non è facile; a volte lo si fa senza riconoscere come. E tuttavia questo “come” può essere saputo. Non c’è bisogno di nessun esperto che dica all’insegnante in che modo (deve) fare scuola. Piuttosto, c’è bisogno di aiutare a riconoscere, punteggiare e valorizzare, il modo di fare scuola di chi scuola la fa già.
Essere consapevoli dell’implicito, del latente, di ciò che sfugge nell’agito, rende più forte e sicura la professionalità docente, cioè i modi di agire a scuola. Solo un insegnate che sa quello che fa può fare la scuola diversamente da ieri. E la scuola di oggi è nelle mani di quegli insegnati che sanno coinvolgere, interessare e stanare i ragazzi affinché siano mossi a desiderare di apprendere.

Le indicazioni che si evincono dal comunicato del 27/12/’12 del MIUR e dal testo redatto in seguito dall’Ufficio scolastico della Regione Lombardia tendono a promuovere e favorire un modello di scuola “inclusiva”, che porti ad attivare strategie “di approccio al ‘sapere’, rispettando i ritmi e gli stili di apprendimento e assecondando i meccanismi di autoregolazione”.
Tale linea è stata ulteriormente specificata e valorizzata dalla Legge 107 del 2015, mettendo in risalto il valore dei “percorsi individualizzati  e  personalizzati”  per favorire “l’inclusione scolastica e il  diritto  allo  studio degli alunni  con  bisogni  educativi  speciali  anche  con  il  supporto  e   la
collaborazione dei servizi socio-sanitari ed educativi del territorio e delle associazioni di  settore”.
Il Tavolo Tecnico che è stato aperto di recente dal Miur (27/9/2017), per sondare la funzione che la Psicologia può svolgere nei contesti della scuola contemporanea, evidenzia ulteriormente l’esigenza, avvertita da più parti, di fare il punto sulle esperienze realizzate in questi ultimi anni e soprattutto di confrontarsi con quanto di più innovativo circola nei Dipartimenti di Psicologia, Pedagogia e Filosofia.
In linea con queste indicazioni ministeriali e regionali, il presente progetto si ripromette di superare un approccio clinico-diagnostico nell’affrontare il disagio adolescenziale e orientarsi, invece, verso un approccio che abbia nella formazione il suo cuore strategico. Come si evince dal testo del MIUR, anche l’orientamento più attuale è quello di abbandonare pratiche di etichettamento, di esclusione e segregazione diagnostica, per favorire invece la diffusione di strumenti capaci di cogliere l’unità “bio-psicologica” della singola persona, le sue specificità e formulare di conseguenza offerte formative sempre più personalizzate e quindi efficaci.
In questo senso, il progetto si rivolge all’intera comunità scolastica, docenti, studenti, dirigenti, famiglie, personale ATA, con lo scopo di favorire una rielaborazione condivisa del nodo “apprendimento/insegnamento” in vista di un modello di scuola che abbia nella capacità inclusiva la propria eccellenza.
Come si legge dal testo del MIUR, il campo dello svantaggio e del disagio scolastico adolescenziale è ben più ampio di quanto sia possibile certificare a livello di deficit o di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). Al di là delle certificazioni, il mondo del disagio giovanile è molto vasto e richiede pratiche di “presa in carico”, strategie educative integrate e il coinvolgimento dell’intera comunità scolastica (legge 170/2010). Un approccio orientato dallo studio dei Bisogni educativi speciali (BES) va nella direzione di una didattica inclusiva, personalizzata, pensata su misura e non “speciale” nel senso escludente del termine.
L’estrema rilevanza che la legge 107 assegna, all’interno del suo progetto complessivo, al concetto di “scuola inclusiva” comporta la necessità di pensare, in maniera condivisa e multidisciplinare, gli orizzonti entro i quali poter sperimentare pratiche, sensibilità e orientamenti innovativi, in maniera tale da rendere effettivo il principio generale.
In questa direzione, il progetto “Dis-agio” intende l’inclusività scolastica come l’effetto di una continua interazione tra l’attenzione riposta nei confronti del “benessere scolastico”, del buon clima e delle buone pratiche, con il piano più generale della formazione: non c’è formazione efficace se non all’interno di un clima scolastico che renda possibile gli effetti positivi della trasmissione; come non esiste, a ben vedere, alcun benessere scolastico che non sia supportato da pratiche, orientamenti e sensibilità formativi accorti e consapevoli del proprio mandato educativo.
È pertanto proprio all’interno del quadro definito dai BES che si colloca l’orientamento psicoanalitico proposto dal presente progetto. Offrendo, nelle direzioni istituzionalmente auspicate ma anche al di là di esse, un importante e innovativo contributo all’altezza delle difficoltà del nostro tempo, nell’ottica di una sempre maggiore caratterizzazione dell’offerta formativa della scuola. L’approccio orientato dalla psicoanalisi non opera infatti secondo standard procedurali o etichette diagnostiche prestabilite, ma favorisce, in tutti gli operatori che tengono conto della sua etica e del suo insegnamento, una sensibilità all’ascolto che può permettere di affrontare le impasse e i casi critici con maggiore efficacia. Per un verso, favorendo una progressiva transizione dai “bisogni” che la scuola riconosce al singolo allievo alle “domande” che egli può o meno formulare; per altro verso, arrivando a promuovere una trasformazione dello stile educativo verso la quale le stesse indicazioni regionali sembrano voler orientare le scuole: “non è sufficiente, quindi, preoccuparsi di definire chi sono gli studenti in situazione di BES, importante invece è cambiare il modo di insegnare e di valutare, affinché ogni studente in relazione alla sua condizione e alla sua manifesta difficoltà, trovi la giusta risposta”.
Perché questo possa avvenire, riteniamo sia opportuno superare alcuni steccati disciplinari che fino a qualche anno fa vedevano contrapporsi saperi come la psicologia, la pedagogia e senz’altro la filosofia. L’approccio integrato del Progetto “Dis-agio” fa propria questa esigenza, valorizzando i contributi che ogni disciplina può portare nel costruire risposte ad hoc di fronte alle forme sempre più complesse e articolate di disagio che la scuola contemporanea ci propone.

LE SUE ATTIVITÀ

Si intende agire su tre fronti; prima, sensibilizzare l’intera comunità scolastica grazie a un ciclo di lezioni/conferenze aperte a tutti gli attori della scuola; poi avviare un lavoro di piccolo gruppo e/o di formazione con i docenti disponibili a lavorare su casi, sulle difficoltà che incontrano nell’interagire con gli adolescenti oggi a scuola, sulle diverse forma del disagio adolescenziale. Quindi, parallelamente, offrire a studenti e docenti un’occasione di ascolto individualizzata.

Per questo si propongono tipi di attività differenziate, tra cui:

Lezioni e conferenze sui temi dell’adolescenza contemporanea, sulla Clinica della formazione e il modo di fare scuola, sull’etica e l’ascolto orientati dalla psicoanalisi. Tutti gli incontri vedranno protagonista un solo relatore/esperto.

Uno spazio di ascolto e di parola (per studenti, docenti, genitori, comunità scolastica) per l’elaborazione delle difficoltà incontrare a partire dall’esperienza scolastica. Attivato con continuità da uno stesso professionista in relazione con le altri funzioni e attività del progetto.

Un lavoro in piccoli gruppi di docenti con un pedagogista (clinico-facilitatore di gruppo). Si propongono 3 gruppi da 4 incontri ciascuno (3 ore circa a incontro), su diverse tematiche:
– A partire dalle esperienze di disagio portate dai docenti, coinvolti su base volontaria;
– Sul tema specifico “che cosa significa valutare oggi?”;
– Sul tema dello “spazio scolastico”, attraverso la realizzazioni di plastici.

Un percorso condotto da un pedagogista e uno psicologo clinico, con lo scopo di favorire la diffusione di competenze specifiche sulle varie forme del disagio adolescenziale (disturbi del comportamento alimentare, dipendenze, forma di ritiro e di aggressività, attacchi di panico, ecc.), interrogare le trasformazioni dell’adolescenza contemporanea, fornire strumenti di lettura, interpretazione e intervento ai docenti: l’unità formativa di base è di 5 incontri da 3 ore ciascuno.

Una serie di attività di ricerca sull’identità e l’immaginario delle diverse istituzioni scolastiche, in collaborazione eventuale con l’Università di Milano-Bicocca, a partire da un coinvolgimento diretto e in funzione attiva dei docenti interessati (ricercatori interni alla scuola).

Un progetto sulla funzione educativa in ambito psichiatrico, con funzione anche di orientamento universitario, suddiviso in:
1.     un primo momento di formazione, condotto attraverso incontri/lezioni su tematiche inerenti la storia della follia, la funzione educativa, la storia dell’ospedale psichiatrico, il funzionamento della comunità terapeutica, l’orientamento psicoanalitico nei confronti del disagio psichico
2.     una seconda fase “pratica” (partecipazione ad attività di laboratorio con ospiti ed educatori) in collaborazione con la Cooperativa “Artelier” di Milano.